Dettaglio e passione per l'architettura

Mestiere strano, ti raccontano di castelli di sabbia che non si sgretolano, nei quali puoi entrare e che tutti riconoscono come tue creazioni; certo ti dicono che bisogna studiare molto, che solo alla fine avrai diritto al tuo castello. Nessuno ti confessa che soltanto pochi, alla fine, potranno “costruire” anche perché, sempre alla fine, scopri che soltanto alcuni dei tuoi maestri hanno potuto o voluto alzare i propri castelli ed allora comprendi che quello che ti hanno trasmesso è spesso inquinato dal rumore e dalla noia dell’inattività della loro dis-architettura. Strano mestiere quindi, trasmesso da maestri ciechi attenti soltanto ad inaridire l’animo di chi, vergine, cerca nei loro occhi vuoti il modo di tener su i propri sogni di sabbia.
Ma non per tutti è così, talvolta si ha la fortuna di leggere negli occhi della propria guida un guizzo, una luce, che non dimentichi più. Tornano alla mente le gioie adolescenziali delle prime sfide vinte, del primo bacio che faceva vibrare il corpo e l’animo come non avevi mai provato. E ti meravigli che queste emozioni possano rivivere perché lette negli occhi di un uomo, spesso orami avanti negli anni, che ti racconta dei propri sogni di sabbia. Allora comprendi che è ancora possibile vivere questo strano mestiere, che c’è, ancora qualcuno che ti chiede di “pietrificare” i suoi sogni: Così cominci, senza altra esperienza se non quella adolescenziale del bagnoasciuga, ha “costruire” per cercare nei tuoi occhi la scintilla, la luce, che hai letto negli occhi dei pochi maestri che la fortuna ti ha concesso di incontrare.
Questo scrivevo nel 2000 nell’introduzione alla nostra prima monografia ed oggi, dopo oltre dieci anni, mi trovo sempre più spesso dall’altro lato della barricata cercando di trasmettere esperienza e passione, terrorizzato dallo scoprire che i giovani studenti che incontro possano non leggere più nei miei occhi l’amore per questo strano mestiere. Quando presento i nostri lavori cerco per questo di raccontare del come anche nelle piccole cose che si ha la fortuna di costruire sia possibile realizzare qualità e del come proprio nel controllo del dettaglio si possa trovare quella soddisfazione che ancora ci fa vibrare l’anima. 
Certo la qualità dell’architettura non è solo controllo e disegno del dettaglio ma senza una attenta pratica di ciò è molto probabile che l’idea che vogliamo esprimere venga travisata. Questo accade soprattutto perché l’idea dello spazio architettonico viene costruita nella mente del fruitore sommando una infinità di dettagli che gli occhi scansiscono quando esplorano uno spazio. Quindi se progettiamo un ambiente con determinati rapporti non possiamo prescindere dal pensare anche alla qualità delle “pelli” con cui immaginiamo di allestire questo spazio. La mente del fruitore di questo ambiente non riuscirà infatti a prescindere dal percepire la qualità del dettaglio perché la lettura dello spazio avviene per sommatoria di dettagli colti dai nostri occhi e quindi elaborati dal cervello. Il nostro occhio percepisce lo spazio raccogliendo dettagli che, sommati in sequenza, ricostruiscono nella mente l’immagine che pensiamo di osservare nella sua globalità. Le ricerche sui movimenti oculari hanno consentito di comprendere che i nostri occhi sono stati “progettati” per cogliere i dettagli. Basta ragionare un attimo sul nostro modo di guardare e si comprende che osserviamo per punti e che, senza riflettere, facciamo una scansione puntuale dell’area osservata.
Certo non è sufficiente disegnare con attenzione una infinità di dettagli per realizzare una buona architettura ma, soprattutto alle prime armi, è importante disegnare molto e con particolare cura. Questa pratica consente di comprendere e controllare la qualità di ciò che intendiamo costruire evitando che, una volta realizzata, la nostra architettura sia altro rispetto a quanto immaginato. Gli strumenti del disegno sono i più disparati ma da circa vent’anni si è realizzato un monopolio del disegno al computer. Sull’argomento ci sarebbe moltissimo da dire ed è probabilmente opportuno accennare solo a due aspetti in relazione alle tecniche tradizionali. Il disegno realizzato utilizzando il pc è essenzialmente sviluppato in due o tre dimensioni: nel primo caso il computer è utilizzato come un tradizionale tecnigrafo (divenuto elettronico) con il quale si fanno disegni che sintetizzano in due dimensioni l’idea progettuale. Questa sintesi è una astrazione tipica del fare architettura. Sin dall’antichità si tracciava su carta una proiezione bidimensionale, una sezione o una pianta in scala dell’edificio da costruire. In questo modo si cercava di controllare l’insieme semplificando sul piano, in una determinata scala di rappresentazione, la complessità dello spazio costruito. Con l’avvento del pc il disegno bidimensionale non ha più un fattore di scala, è infatti possibile disegnare “al vero” zoomando di volta in volta sul particolare che si sta disegnando. Questa opportunità potrebbe apparire un enorme vantaggio ma spesso rischia di indurre in errore. La nostra mente infatti male si adatta al continuo cambio di scala e spesso perde il controllo dell’insieme. Il disegno non diviene più strumento di sintesi e di riflessione sul modo di costruire ma mero elemento di rappresentazione acritica incapace di sintetizzare la complessità dello spazio. E’ probabilmente opportuno mantenere, assieme all’indispensabile uso del pc quale elemento di rappresentazione bidimensionale, una pratica del disegno a mano che, soprattutto nella fase ideativa, consente quella sintesi capace di riportare su carta un equilibrio fra idea complessiva e controllo del dettaglio.
Nel caso del disegno tridimensionale al pc si aprono invece delle opportunità che vanno ben oltre la possibilità di progettare realizzando maquette. L’architettura si è sempre progettata utilizzando rappresentazioni tridimensionali in scala dell’idea ma con l’avvento della modellazione tridimensionale al computer si sono ampliate enormemente le possibilità si simulare lo spazio che si pensa di realizzare. Questa possibilità permette al progettista di verificare l’impatto visivo delle sue idee confrontando con relativa semplicità infinite soluzioni alternative. Diviene possibile presentare al futuro fruitore diverse immagini iperealistiche dell’idea architettonica complete di tutti i dettagli e le finiture prescelte. Questa opportunità deve però essere amministrata con attenzione perché spesso i progettisti non tengono conto delle difficoltà costruttive e di costo che, ovviamente, non si presentano mentre si modella al pc. E’ quindi opportuno continuare a verificare con disegni di dettaglio delle singole parti la fattibilità complessiva dell’idea architettonica senza farsi “trascinare” dalle opportunità offerta dalla modellazione tridimensionale. Il rischio in questo caso è quello di immaginare e presentare affascinanti scenografie che poi non reggono la verifica della fattibilità tecnica ed economica.
In conclusione il nostro resta un mestiere nel quale prevale la pratica artigiana del costruire per somma attenta di dettaglio. Il dettaglio diviene in questa ottica il fonema strutturante il proprio linguaggio architettonico. Come è noto chi controlla male i propri fonemi spesso balbetta e non c’è nulla di più triste e dannoso per la collettività di un’architettura cacofonica e balbettante. 


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