Sui lampioni la creatività è rimasta ferma a cento anni fa

In questi giorni qualcuno (l’amministrazione comunale, qualche società dell’ENEL, le soprintendenze?) si è attivato per sostituire i vecchi corpi illuminanti ed i relativi pali dell’illuminazione pubblica cittadina. Sino a qui niente di male, è la normale amministrazione di una città moderna che adegua il suo territorio a i nuovi standards illuminotecnici e di sicurezza.  Se però si và oltre il compiacimento di vivere in una città che finalmente vive pienamente il suo ruolo di moderna metropoli e si osserva con più attenzione l’intervento ci si accorge che c’è qualcosa di strano.

I pali preesistenti, che sono in corso di sostituzione, supportano l’illuminazione di via Tasso e di parte del corso Vittorio Emanuele e probabilmente sono stati messi in opera durante il ventennio (su alcuni è ancora presente il famoso fascio). Ad essi sono sospese delle plafoniere che per design e tecnologia dovrebbero essere degli anni sessanta dello scorso secolo. I nuovi pali riproducono per tipologia e forma quelli preesistenti sostituendo soltanto il fregio fascista con il logo del comune e sospendono in alto un corpo illuminante di design antico ma, pare, di tecnologia moderna. 

Qualche perplessità un intervento di questo tipo la suscita. Nonostante infiniti dibattiti sul restauro, sull’architettura classica, moderna e post-moderna non si è giunti a conclusioni univoche, stili e soluzioni si contrappongono senza trovare soluzioni. Un solo ragionamento accomuna tutte le  correnti di pensiero. Riproporre pedissequamente il passato è inutile e decadente. Errori di questo tipo sono espressione dell’impossibilità di un progettista, e della committenza che nel suo agire rappresenta, di  vivere il proprio tempo.

L’antica rassegnazione nella quale siamo cresciuti ci ha abituato a accontentarci. Nella mente di tutti noi napoletani prevale la convinzione che quello che ci hanno donato è meglio che niente (soltanto alcune menti “elette” arrivano a comprendere che anche questo intervento è stato pagato dia noi). Per i pochi che, come noi, non vogliono rinunciare a esercitare il proprio spirito critico, non resta che l’ironia. Proponiamo allora che i progettisti e tutti coloro che hanno scelto di “vestire” la città alla moda degli anni venti del secolo scorso, almeno per un giorno si dotino di spolverino e tuba, rinuncino alle loro nuove automobili per salire su romantiche carrozzelle perché vivano fino in fondo l’anacronismo delle loro patetiche soluzioni.


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